“Contrappunti e fughe” Edizioni Blu di Prussia 2007
Poesia. ‘vita e morte non mi avranno mai’ scrive l’autore (p. 7): esuberanza giovanile? Ha ventisei anni, ma la sua poesia (la sua vita?) suona autentica: ha forza, carattere. Da tempo non leggevamo composizioni così affascinanti nella loro crudezza. Ben inteso, gli eccessi non mancano (Arcangelo), ma sempre nel segno dell’autenticità. E ci sono versi che si imprimono, forti, nella memoria: ‘Oh, arti uccisori così dolci, altrettanto rari | similmente all’amore il delitto è offerto’ (Sonatine, vv, 6-7); oppure: ‘nell’aurora | creature favorite dagli oceani’ (Salvador, vv. 3-4): non è bellezza questa? Sarà opportuno seguire il percorso di questo interessante poeta.
Luciano Nanni “Literary” 2007
Come osserva opportunamente Eugenio Ribecchi nella prefazione al libro, Lorenzo Bonadè è un poeta molto giovane la cui ricerca propulsiva dominante che lo spinge a esprimersi è la rabbia, la volontà di affermare la propria personalità, nonostante gli ostacoli e le chiusure del mondo. Il suo però non è un grido sterile e vuoto ma racchiude un’osservazione attenta e lucida della realtà con cui si confronta.
Il titolo del libro è di per sé esplicativo dei contenuti: la personalità spiccata porta il poeta all’incontro scontro con l’altro da sé e quindi all’inevitabile contrappunto, al “ponere punctum contra puctum”. La forte sensibilità poetica lo conduce tuttavia all’isolamento e alla riflessione meditativa.
La fase successiva e inevitabile è quella della “fuga” che non è isolamento fine a se stesso ma tentativo di strutturazione del sé che porta l’autore al desiderio di riforgiare il mondo, senza tuttavia sperare in metamorfosi miracolose ma tenendo sempre conto della verità delle cose.
Il linguaggio duro e scarno è adeguato a questo istinto di ribellione. Molti gli esempi da citare, ma mi limito a proporre alcuni tra quelli che ritengo fra i più significativi.
Il testo “Cantico delle carceri”, il cui titolo contiene entrambi le componenti in contrasto e in tensione: contrappunto e fuga, origine e fine, tradizione sia religiosa che letteraria e spirituale in senso ampio, però qui inserita in un contesto crudo e duro quale quello delle carceri.
In “Gigolò” la sublimazione e la tentazione, l’incontro tra astinenza e possesso, demonio e santità, consono a questo “fascinoso bastardo di pura razza” come si definisce l’autore stesso.
Nel testo, una filosofia della ribellione, che ha fra le radici più antiche il modello dei simbolisti francesi, Mallarmè, Baudelaire, Verlaine, ma anche la narrativa statunitense, in particolare On the road di Jack Kerouac, come anche Bukowsky.
Valeria Serofilli “Literary” 2007